POMPEI, DALL'IMPERATORE TITO A CARLO DI BORBONE
POMPEI, DALL'IMPERATORE TITO A CARLO DI BORBONE
Foro
Il 23 marzo del 1748 è la data che cambiò la storia dell’archeologia e restituì al mondo il grande patrimonio di Pompei. A distanza di oltre 270 anni, le scoperte che si sono succedute hanno permesso di ricostruire molti dettagli sullo stile di vita che si svolgeva in questa gloriosa città. Quello che, invece, è meno noto al grande pubblico sono le vicende che hanno portato alla scoperta di Pompei o meglio alla sua riscoperta. Facciamo un passo indietro di 2000 anni. Nel 62 d.C. un violento terremoto colpì l’intera area vesuviana. A Pompei la ricostruzione ebbe subito inizio, ma per l’entità dei danni, prese molto tempo: 17 anni dopo, quando il 24 ottobre del 79 d.C. l’improvvisa eruzione del Vesuvio la seppellì, si presentava come un cantiere aperto. Cosa successe immediatamente dopo l’eruzione?
Anfiteatro
Come ci riferisce lo storico Svetonio nella Vita dei Cesari, l’imperatore Tito “ sorteggiò alcuni ex consoli ai quali diede l’incarico di restaurare la Campania e assegnò i beni di coloro che erano morti durante l’eruzione del Vesuvio senza lasciare eredi, alla ricostruzione delle città distrutte”. Anche i pompeiani superstiti tentarono di recuperare una parte degli averi dalle loro case, ma data comunque la difficoltà del recupero, quei luoghi furono subito abbandonati. Nei secoli immediatamente successivi l’area della città divenne un’enorme cava, come dimostra l’asportazione del rivestimento marmoreo nel Foro, in alcuni ambienti delle terme suburbane, la scomparsa di blocchi di pietra di parte dei sedili nei Teatri e nell’Anfiteatro. Nonostante il sito fosse disabitato, sulla collina di Civita col tempo si tornò a coltivare. L’eruzione che aveva causato così tanta distruzione, subito dopo, in quello stesso territorio, permetteva di godere di nuovo dei frutti della sua terra. Questa forse è una prima grande lezione per comprendere l’area vesuviana e gli abitanti che qui da sempre la abitano. La natura qui è allo stesso tempo distruttiva ma anche generosa. Nel corso dei secoli, le successive eruzioni non hanno mai scoraggiato le popolazioni vesuviane ad abbandonare quelle terre, perché quelle stesse terre permettevano di vivere. È proprio la grande fertilità di questa terra, infatti, fu uno dei motivi principali per costruire qui le città di Stabia, Ercolano e Pompei.
Praedia di Giulia Felice
Altro aspetto interessante è che collina di Civita non ha mai completamente nascosto la città, dal terreno infatti fuoriuscivano le porzioni superiori degli edifici. Parte di queste strutture furono riutilizzate: basti pensare alle strutture che vennero edificate sopra le terme femminili del Foro oppure, per rimanere sempre in area vesuviana, al sito di Moregine dove sappiamo che le sue strutture furono riutilizzate prima di venire di nuovo seppellite da un’altra eruzione. I rinvenimenti che si sono avuti fino alla fine del Cinquecento, inizi Seicento, non hanno mai acceso l’interesse per delle indagini approfondite. Un’esempio del genere si ebbe alla fine del ‘500 quando Domenico Fontana fu incaricato di costruire un canale che portasse l’acqua dai monti di Sarno a Torre Annunziata. Tale lavoro attraversò l’intera collina di Civita, ma non venne dato nessun peso al rinvenimento di strutture e oggetti durante quei lavori. I tempi stavano cambiando. Ci vorrà il secolo dei lumi, il Settecento, per un radicale cambiamento culturale. Un cambiamento trascinato in maniera determinante dalle città vesuviane. Ercolano, scoperta qualche anno prima, accese sempre più l’interesse verso le città sepolte dall’eruzione e verso il classicismo che ormai affascinava le corti di mezza Europa. Quando nel 1748 Carlo di Borbone decise far scavare la collina di Civita si credeva di aver trovato la città di Stabia. Fu grazie all'individuazione di un'epigrafe dove era nominata la Res Publica Pompeianorum, durante il regno di re Ferdinando nel 1763, che permise di capire che quella ricchezza apparteneva a Pompei.