IL REAL TEATRO SAN CARLO
IL REAL TEATRO SAN CARLO
Teatro San Carlo
“La sala del San Carlo nella magnificenza della sua architettura, nella ricchezza dei suoi ornati, fulgidamente illuminata, piena zeppa, fa sempre questo effetto di stupefazione, sulla folla istessa che ne aumenta la imponenza”. La descrizione, appena riportata, è tratta dal romanzo “Addio, amore!” di Matilde Serao (Patrasso, Grecia 7 marzo 1856 - Napoli 25 luglio 1927), grande protagonista e divulgatrice della cultura partenopea. Il romanzo descrive il teatro così come appare ancora oggi, nella sua veste neoclassica dopo il disastroso incendio del 1816. Il San Carlo, voluto dal re Carlo di Borbone, venne inaugurato il 4 novembre 1737, nel giorno del suo onomastico. Il progetto fu affidato all’architetto Giovanni Antonio Medrano che caratterizzò il teatro con un impianto “a ferro di cavallo”; una innovazione che nasce proprio a Napoli con Domenico Antonio Vaccaro e che permetteva un'acustica migliore. Tale impianto sarà modello di riferimento per i successivi teatri d’Italia e d’Europa. Tantissime sono le descrizioni di viaggiatori e letterati; celebre, per esempio, è il resoconto fatto da Stendhal che presenziò all'inaugurazione del 12 gennaio del 1817 dopo i lavori, durati appena 9 mesi, che fecero risplendere il teatro: "La prima impressione è d’esser piovuti nel palazzo di un imperatore orientale. Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita. […] Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. […] "Nel 1835 Alexandre Dumas visitò Napoli e raccolse nel "Corricolo" una serie di racconti ispirati ad episodi, fatti e leggende della città partenopea. Tra questi, troviamo tantissimi aneddoti che riguardano l’impresario Domenico Barbaja che nella sua residenza di via Toledo ospitò Gioacchino Rossini. Il celebre compositore pesarese nei suoi 7 anni di permanenza a Napoli visse una delle sue stagioni più felici. Qui conobbe il soprano Isabella Colbran, primadonna dei teatri partenopei e che sposò nel 1822. Tornando al romanzo della Serao, qui vengono descritte bene le atmosfere tardo ottocentesche della città e in maniera mirabile ci fa rivivere quello che si respirava andando al Teatro San Carlo: "Per la prima rappresentazione del San Carlo, in quella sera di Natale, si dava la più drammatica opera di Meyerbeer: Gli Ugonotti. La prima serata del massimo teatro costituisce sempre un avvenimento per il pubblico napoletano, qualunque opera, vecchia o nuova, vi sia dia: ma quando l'opera è di quelle che appassionano, l'interesse diventa grandissimo. Le duemila persone, fra milione di abitanti, si agitavano da qualche giorno, nelle visite, nelle conversazioni, nei caffè, in tutti i ritrovi, prevedendo che la serata sarebbe stata magnifica. Cantavano negli ugonotti la De Giuli Borsi e Roberto Stagno: in quell'opera il pubblico li doveva udire per la prima volta, mentre già li conosceva, o per fama, o per averli uditi in altre opere.”
La ristrutturazione del Teatro porta la firma dall’architetto e scenografo Antonio Niccolini (1772-1850). Il teatro conosce una prima fase di rinnovamento tra il 1809 e il 1812. La prima fase della metamorfosi riguarda la facciata, con la conseguente aggiunta del ridotto e degli ambienti di ricreazione e ristoro. I lavori, avviati già nel dicembre 1809, si concludono due anni dopo. Il portico carrozzabile presenta l’inserimento, al secondo registro della facciata, della loggia ionica corrispondente agli ambienti del ridotto.
“E tutto intono all’arcata elegante del portico, vicino alle porte piccole e alle grandi, dalle sette e mezzo, sotto la luce divampante delle fiammelle a gas, era un formicolio di gente che arrivava a piedi […] altri arrivavano, bene imbacuccati, in carrozza da nolo, e discendevano, con un leggero salto, innanzi alla porta centrale, sulla piazza San Ferdinando […] mentre sotto il portico, innanzi alla porta centrale, coi due battenti foderati di drappo rosso, arrivavano continuamente gli equipaggi signorili. […] Alle otto, sotto il porticato, per le scale, pei corridoi, la circolazione era difficile e da tutte le parti si udivano voci che chiamavano il custode dei palchi, mentre le signore raggruppate, appoggiate ai muri, formanti un quadro di stoffe seriche, di ricami, di merletti, di gemme, di teste incappucciate, aspettavano che si aprisse. […] Alle otto e un quarto non vi era nessuno: San Carlo aveva preso tutta la folla mondana napoletana, col duplice fascino dell’arte e del piacere.”