FEDERICO II DI SVEVIA, LO STUPOR MUNDI
FEDERICO II DI SVEVIA, LO STUPOR MUNDI
Federico II di Svevia, Emanuele Caggiano. Particolare della facciata di Palazzo Reale
“In quel tempo morì Federico, il più grande principe del mondo, e anche colui che stupì e cambiò il mondo”. La testimonianza del cronista inglese Matteo Paris è particolarmente significativa di quanto il sovrano svevo fosse un personaggio di eccezione, la cui personalità aveva sicuramente colpito i suoi contemporanei.
Nella prima metà del XII secolo, il destino di mezza Europa dipese dal ruolo politico che ebbe il sovrano, in particolare per i suoi rapporti col papato.
Che il destino di Federico II fosse in qualche modo segnato dalla nascita lo si capisce già dalla sua discendenza.
I nonni furono Ruggero II fondatore del regno normanno in Sicilia, e Federico I Barbarossa imperatore del Sacro Romano Impero. Con la morte del padre Enrico VI, figlio del Barbarossa, si spiana la strada per diventare Re, la cui incoronazione avvenne nel 1208. Aveva 14 anni.
L’anno dopo, grazie al Papa Innocenzo III, Federico II sposò Costanza d’Altavilla, sorella del Re Pietro d’Aragona e vedova di Emerico Re d’Ungheria. Dalla loro unione nacque Enrico.
Più complicata fu la vestizione come imperatore in quanto alla morte di Enrico VI, il papa Innocenzo III prima favorì la candidatura di Ottone della fazione guelfa che però in seguito venne scomunicato per la minaccia di unire la corona imperiale con quella di Sicilia. La scelta allora cadde sul giovane Federico, che dalla Sicilia partì per la Germania in un viaggio non privo di ostacoli per gli appoggi che Ottone aveva sparsi per l’Europa. Federico venne eletto imperatore nel 1211 e incoronato prima ad Aquisgrana nel 1215 e poi a Roma nel 1220.
Una visione moderna dello Stato
Di ritorno dalla Germania, Federico cominciò a mettere in piedi una serie di riforme in senso estremamente moderno. Ridimensionò i privilegi feudali, dichiarando nulli tutti quei privilegi concessi a partire dal 1189.
Si occupò di difesa con l’istituzione di provisores castrorum, una sorta di provveditore di tutti i castelli, con l’incarico di effettuare ispezioni, verificare l’efficienza del castellano e del contingente militare posto ai suoi ordini, lo stato degli edifici. Con l’inchiesta compiuta tra il 1240 e il 1245 risultano censiti ben 225 castelli ( sono andati perduti i dati della Calabria e della Sicilia).
Il territorio fu diviso in cinque distretti ognuno dei quali comprendeva più province: 1) Abruzzo; Terra di Lavoro, Molise, Principato, Terra Beneventana; 3) Capitanata, Basilicata, Terra di Bari e Terra d’Otranto; 4) Sicilia citra Salsum e Calabria; 5) Sicilia ultra Salsum
Sotto il controllo dello Stato furono riportati anche i feudi e furono rivendicati i diritti su dogane porti e mercati. L’apice della sua azione riformatrice è con le “Costituzioni di Melfi” del 1231 con le quali dotò il regno di un codice organico di leggi, ispirato alla tradizione giuridica romana e alla legislazione normanna.
Considerata la vastità dei possedimenti, dalla Germania alla Sicilia, era difficile realizzare un’unità sotto il piano politico e statuale anche se questo non sminuisce la portata dei suoi interventi. Senza considerare inoltre un contesto in cui gli equilibri si reggevano anche in relazione al papato; sono una testimonianza in questo senso le due scomuniche che procurarono al sovrano diversi nemici, tutti schierati a favore del Papa, che porteranno alla fine della dinastia degli Hohenstaufen.
L’importanza della formazione e della cultura
Per potenziare l’apparato burocratico e amministrativo, istituì a Napoli nel 1224 quella che è considerata la prima Università Statale del mondo occidentale, per la formazione di giuristi e funzionari ben preparati. Furono concesse facilitazioni di vario genere a coloro che volessero frequentarla e proibendo ai suoi sudditi di recarsi a studiare a Bologna (all’epoca una città dal carattere fortemente antimperiale) o altrove.
La vita di Federico II non era scandita solo da questioni statali, ma anche di ritagli di tempo per la lettura. Famosa è la lettera del 1232 ai dottori dello studio di Bologna: “Per quel generale desiderio di sapere che, per natura, tutti gli uomini hanno; per quello speciale godimento che alcuni
ne derivano, prima di assumere l’onere di regnare , fin dalla nostra giovinezza, abbiamo sempre cercato la conoscenza, abbiamo sempre amato la bellezza e ne abbiamo sempre, instancabilmente, respirato il profumo. Dopo aver assunto la cura del regno, sebbene la moltitudine degli affari di Stato richieda la nostra opera e le cure dell’amministrazione esigano grande sollecitudine, tuttavia quel po’ di tempo, che riusciamo a strappare alle occupazioni che ormai sono divenute familiari, non sopportiamo di trascorrerle nell’ozio, ma lo spendiamo tutto nell’esercizio della lettura, affinché l’intelletto si rinvigorisca nell’acquisizione della scienza, senza la quale la vita dei mortali non può reggersi in maniera degna di uomini liberi, e voltiamo le pagine dei libri e dei volumi, scritti in diversi caratteri e in diverse lingue, che arricchiscono gli armadi in cui si conservano le nostre cose più preziose.”
Federico II si fece, se non iniziatore, almeno protettore di un’attività poetica in lingua volgare “italiana”. La lirica dei poeti siciliani si sviluppava in opposizione alla tradizione provenzale e si fa notare per la squisitezza selettiva e per la metrica dei sonetti che diventò tipica della poesia italiana. I temi sono soprattutto amorosi, o comunque astratti, ideologici. Saranno queste peculiarità a permettere l’accoglienza della poesia siciliana da parte di ambienti e di poeti diversi.
Itinerari federiciani
Castelli, e residenze sono le testimonianze più evidenti del periodo Svevo. Questo grazie alla riforma dell’ordinamento militare voluta da Federico II. All’inizio le fortificazioni al tempo dei normanni erano pensate solo per la difesa locale ed erano in possesso di singoli signori; con il periodo Svevo, invece, rientrano in un disegno unitario a difesa del regno. Vennero in questo modo requisite tutte quelle strutture che rivestivano carattere strategico e demolite le altre che non servivano agli interessi dello Stato. Sappiamo dai pochi documenti rimasti che furono più di 200 le fortezze usate in questo senso (senza contare quelle della Sicilia e della Calabria per le quali mancano notizie precise). Per il contrasto che esisteva con la chiesa, Federico II si impossessò delle fortezze del Basso Lazio e della Campania (Sora, Fontana Liri, Rocca d’Arce, Capua, Aversa). La protezione sul mare era affidata alle difese dei due castelli di Napoli (Castel Capuano e Castel dell’Ovo), di Ischia e Gaeta. Numerose erano le strutture a Benevento, Caserta, Avellino, penisola sorrentina, nella Puglia settentrionale e a Potenza.
Oggi se ne contano una ventina e, pur se con consistenti modifiche, tra questi ricordiamo: i castelli siciliani di Siracusa (Castel Maniace), Catania (Castel Ursino), Augusta ed Enna, quelli di Termoli (in Molise), di Melfi e Lagopesole (in Basilicata); i castelli pugliesi di Oria,, Bari, Trani, Lucera e Castel del Monte (che vero castello non è). Non va comunque dimenticato ciò che resta del ponte fortificato di Capua, “custode del regno”.